Nell’universo delle escort, e nella zona di alta gamma della Rete, è davvero il corpo quello che si vende? Molti pensano che sia piuttosto l’immagine, tant’è vero che il medesimo corpo, quando è valorizzato da foto o passerelle o tivù, aumenta di prezzo; e le donne (o gli uomini) che si vendono lo sanno talmente bene che affollano le palestre per migliorare la loro immagine assai più che le loro prestazioni sessuali. Il valore d’uso della merce (l’atto sessuale) è largamente superato dal suo valore di scambio, come icona del lusso e status symbol. E dunque si paga il lavoro che è stato necessario per produrre la merce, compreso il trasporto (vedi il successo di molte escort esotiche, che portano con sé il brivido di lingue e Paesi lontani). Con la pansessualizzazione degli ultimi trent’anni, anche il sesso è diventato un mediatore universale esattamente come il denaro; entrambi si impregnano di un riflesso d’assoluto ““ il denaro per l’infinità di cose in cui riesce a trasformarsi (“divinità che congiunge gli impossibili e li costringe a baciarsi” lo definisce Shakespeare nel Timone d’Atene); il sesso perché, sganciato dall’amore, ne ha conservato tuttavia un profumo d’infinito. Molti imprenditori, lo sappiamo, pagano i politici direttamente in russe, o lituane; più che una merce, il corpo diventa moneta ““ e se diventa esso stesso, come il denaro, l’equivalente generale di molti specifici beni, allora non deve avere caratteristiche troppo individuanti; di qui l’omologazione estetica, ottenuta con la chirurgia o con mezzi più soft come l’abbigliamento e il trucco. Se il corpo diventa moneta, che cosa compra esattamente il cliente quando cerca la compagnia di una escort? Con tot euro, o dollari, compra un altro tipo di moneta che può eventualmente scambiare per ottenere più ambiziosi e immateriali favori. La prostituzione, in questo caso, somiglia a un commercio di valuta.
DUE PAROLE
Siti racconta la vita di Tommaso Aricò, uno squalo della finanza contemporaneo, cresciuto di un’ambizione personale alimentata dalla mafia al fine di portarsi nei piani alti dell’economia. Debito, quello con la mafia, che lo inseguirà per sempre. Ma cos’è questo romanzo? Io sarò molto brutale, quasi sgraziato, ma riesco a classificarlo come una commistione di un testo di denuncia sociale alla Saviano, un blob di mondanità sul panorama odierno e corrotto italiano (di quelle scene alla Paolo Sorrentino, per intenderci), e uno stile giornalistico pornografico che strizza l’occhio (io direi che sicuramente attinge) all’american psycho di Ellis e alla pornografia letteraria. Si nota, a mio modesto parere, una certa goffaggine di termini quando la prosa volge al mondo del protagonista. La volontà di far parlare il protagonista con termini e modi quanto più coerenti alla realtà, e quindi al gergo dei nuovi uomini della finanza moderna, e quindi di voler descrivere dall’interno un mondo in realtà (penso) assai lontano da quello dell’autore, emerge inesorabilmente dalla stampa. Il libro è comunque buono e digeribile. Altissimo il capitolo sulla prostituzione, che poi dà forse contorno all’opera. Si denuncia e si analizza il valore economico delle cose, in primo luogo il valore delle persone, passando proprio dalla vendita del proprio corpo, dal valore intrinseco dello stesso e di cosa significhi, quindi, scambio commerciale. Questo è l’interrogativo più apprezzato del romanzo, quello che mi è rimasto come prezioso. Allo stesso modo in cui la linea di confine fra l’affare e il malaffare è assolutamente intangibile e inconsistente, così lo è anche il valore delle cose. Va da sé, delle persone stesse. In secondo luogo si esplora un tema inesauribile, il fascino del dio denaro, della cattedrale che l’umanità gli ha riservato, del suo potere nero e oscuro, così la finanza diventa il Mefistofele a suo servizio (I modelli per la gestione del rischio, si entusiasma, sono gli stessi modelli matematici che illustrano il penetrare degli atomi di calcio nelle ossa. Così come i cicli finanziari, considerati in grande, rispettano l’andamento della spirale di Fibonacci («siamo nel cuore della natura»); la finanza è matematica come la musica, è la musica del desiderio quando il desiderio diventa concreto. Le prime monete, gli archeologi le hanno trovate nei santuari.) Flebile, o stucchevole, invece, il contesto. Se l’idea di fondo è una perla, che l’autore giustamente esplora lucida e conserva, tutto ciò che gli ruota attorno non si capisce se sia pretesto o denunzia. Siti arricchisce la narrazione di lampi o aforismi brillanti, si evince e sgorga la sua personalità erudita (Solo la teoria è bella, la pratica è umiliante ““ a cosa serviva se no essere intelligenti?). Un libro che sintetizza la commercializzazione e la mercificazione dei sentimenti (l’amore è un prodotto, si sa: il mio istinto di ribassista ha sempre evidenziato l’ovvia caduta del desiderio sessuale, ma il valore del rapporto è destinato a crescere se nel calcolo si inserisce la variabile “discendenza”) forse il vero spirito di quest’epoca che, per contemporaneità, fatico ancora così tanto a descrivere e comprendere. Lode a chi, eroicamente, ci prova.
“Essere al servizio degli dèi significa comprendere che nessuna verità è definitiva, perché ciò che apparentemente è stato superato è lì pronto a ritornare. Nel corso dei secoli le caste barbariche hanno di norma generato una nuova aristocrazia, tintinnante di monili vistosi; al tempo dell’high-frequency trade e della globalizzazione istantanea nessuna aristocrazia di sangue è più possibile, ma solo quella dell’acume e dell’audacia; la matematica abolisce la democrazia perché la democrazia è contro natura. La democrazia svilisce tutto perché tutto appiattisce al livello della maggioranza; il tiranno si accontenta del corpo, la democrazia pretende anche l’anima; il tiranno ti opprime, la democrazia ti fa sentire sbagliato, traccia un cerchio invalicabile intorno al pensiero. A comandare è la piazza, a salsicciaio salsicciaio e mezzo. l’individuo non è più il “soggetto qualificato” di cui parlava l’empirismo inglese; proprio il delirio informativo (cui nessuno ha il coraggio di sottrarsi) rende chimerica per i privati qualunque decisione consapevole sul bene comune. Se finisce l’individuo moderno, nemmeno il suo corollario cioè la democrazia ha più senso ““ malgrado la si continui stancamente a praticare durante le feste comandate, intorno al feticcio dell’urna elettorale. La democrazia è il dio morto della modernità che sopravvive come idolo di cartapesta; la balbuzie dei politologi tradisce l’imbarazzo per un rito funebre che non si può celebrare ““ per questo si aggrappano agli ultimi fuochi di democrazia insurrezionale, nelle zone del sottosviluppo o nel cuore delle nostre metropoli; ma la democrazia non può essere (non più) un poema di massa. Le oligarchie implicite devono uscire allo scoperto, il progresso economico non è obbligatoriamente legato all’uguaglianza dei diritti né la solidarietà presuppone l’assenza di sovrani. La disuguaglianza si sta riprendendo il proprio ruolo grazie alla tecnica che diffonde l’opportuno tasso di apatia; quello che importa ormai non è l’uguaglianza ma la disponibilità dei beni possibili al proprio livello. Il consumismo diffuso a pioggia (con la connessa illusione ottica di omologazione delle classi sociali) è un velo pietoso che si sta squarciando; si riallarga la forbice naturale tra i detentori dell’oggetto-sapere e le “genti meccaniche”. La folla si accontenta dell’umiliazione periodica di qualche incauto e superbo provocatore. Dopo l’infatuazione della rivoluzione industriale, durata un paio di secoli, anche l’Occidente dovrà riassestarsi in caste relativamente stabili ““ il sogno di un governo popolare sfuma come una generosa illusione di irraggiungibile maturità ; anzi come una digressione, un inciso.”