Come faceva Mr Gwyn a scrivere ritratti? Rebecca quella domanda se Pera sentita fare decine di volte. Si mise a ridere. Ma il vecchietto rimase serio. – Voglio dire, cosa diavolo scriveva in quei ritratti? Rebecca aveva una risposta che si era allenata per anni a usare, ogni volta che le facevano quella domanda, per tagliar corto. Stava per pronunciarla quando sentì quella luce morbida e stanca intorno a sé. Allora disse un’altra cosa. – Scriveva delle storie, disse. – Storie? – Sì. Scriveva un pezzo di una storia, una scena, come fosse un frammento di un libro. Il vecchietto scosse la testa. – Le storie non sono ritratti. – Jasper Gwyn pensava di sì. Un giorno, che eravamo seduti in un parco, mi spiegò che tutti abbiamo una certa idea di noi stessi, magari appena abbozzata, confusa, ma alla fine siamo portati ad avere una certa idea di noi stessi, e la verità è che spesso quell’idea la facciamo coincidere con un certo personaggio immaginario in cui ci riconosciamo. – Tipo? Rebecca ci pensò un po’. – Tipo uno che vuole tornare a casa ma non trova più la strada. O un altro che vede le cose sempre un attimo prima degli altri. Cose così. E quanto riusciamo a intuire di noi. – Ma è idiota. – No. E impreciso. Il vecchietto la fissò. Si vedeva che gli andava proprio di capire. – Jasper Gwyn mi ha insegnato che non siamo personaggi, siamo storie, disse Rebecca. Ci fermiamo all’idea di essere un personaggio impegnato in chissà quale avventura, anche semplicissima, ma quel che dovremmo capire è che noi siamo tutta la storia, non solo quel personaggio. Siamo il bosco dove cammina, il cattivo che lo frega, il casino che c’è attorno, tutta la gente che passa, il colore delle cose, i rumori. Riesce a capire? -No. – Lei fa lampadine, le è mai successo di vedere una luce in cui si è riconosciuto? Che era proprio lei? Il vecchietto si ricordò di un lampioncino acceso sulla porta di un cottage, anni prima. – Una volta, disse. – E allora può capire. Una luce è giusto uno spicchio di una storia. Se c’è una luce che è come lei, ci sarà anche un rumore, un angolo di strada, un uomo che cammina, molti uomini, o una donna sola, cose del genere. Non si fermi alla luce, pensi a tutto il resto, pensi a una storia. Riesce a capire che esiste, da qualche parte, e che se lei la trovasse, quello sarebbe il suo ritratto?
DUE PAROLE
In un periodo della mia vita passato a scegliere lampadine per dare un’impronta calda e accogliente alla casa, non ho potuto che sollazzarmi con questa lettura. Eppur mi affacciavo al test con tutto lo scetticismo che un ex adolescente lettore di Baricco, ormai invecchiato e inasprito, si porta inevitabilmente appresso. Si intenda, rimane pur sempre una prosa semplice e leziosa, tipica dello scrittore, ma pur sempre di livello. E certo non escludo che, in fondo, la bravura di Braicco sia proprio nel mischiare abilmente queste due caratteristiche. Una prosa piacevole, insomma, di un libro che riesce persino ad avere un obiettivo preciso, felicemente espresso e riuscito. La meta-storia, il meta-racconto del libro nel libro viene sotteso in maniera originale e fiabesca. Non si può negare questa maestria che descriverei rubando una parola dello stesso Mr. Gwyn alla ricerca della luce per le sue lampadine: “infantile”. Il protagonista è infatti uno scrittore di successo (ma pur sempre di nicchia, e qui è il finto modesto Baricco) che da un giorno all’altro decide di stilare una lista di 52 punti di cose che non farà più nella vita. È un trucco, una bugia. Perché fra le cose compare anche lo scrivere. Si dedicherà immediatamente dopo questo fioretto, all’arte della copia. “copista”, come egli stesso si definisce, di persone. Si pone l’ardito compito di scrivere dei ritratti (altro barocchismo baricchismo). La stucchevolezza del concetto paga. Piano piano si scopre che appariva come uno stucchevole concetto è in realtà una furberia del protagonista, che non smette affatto di scrivere ma trova soltanto un ingegnevole modo di spiegare il senso delle persone e il senso delle storie. Si legga l’inciso. Baricco, sta volta poetico. Il messaggio è che le persone sono storie, sono elementi complicati e multiformi. Caleidoscopici. Il lavoro dello scrittore – e qui si apprezzi la grandissima dedica dell’autore alla sua stessa arte – è quello di portare a casa quelle storie, ovvero di dare un contesto, uno scopo, un valore a tutta quella galassia di puntini inafferrabili che compongono l’essenza di una vita, di una persona. È solo quando si capisce questa prospettiva, e poi anche quando si gira l’ultima pagina, che ci si accorge di aver in mano un romanzo nel romanzo. Nel momento in cui, appunto, si spegne anche la nostra trentaduesima lampadina e ci si trova soli e nudi al cospetto di un testo e del suo autore, che per qualche manciata di ore ci ha portato a spasso nella sua storia cucita attorno alla nostra attenzione.