Lucia Berlin – La donna che scriveva racconti

Un attimo solo. Lasciate che vi spieghi… È una vita che mi capita di trovarmi in queste situazioni, come quella mattina con lo psichiatra. Lui alloggiava nel cottage dietro casa mia, mentre la sua nuova casa veniva ristrutturata. Aveva un aspetto davvero gradevole, diciamo pure che era un bell’uomo, e naturalmente io volevo fare una buona impressione, avevo pensato di portargli i miei brownies, ma non volevo sembrare aggressiva. Una mattina, poco dopo l’alba, stavo come al solito sorseggiando il caffè e guardando fuori dalla finestra verso il mio giardino, che in quel momento era meraviglioso: piselli odorosi, delfinium, cosmee. Mi sentivo, be’, mi sentivo piena di gioia… Ma perché esito nel raccontarvi questa cosa? Non vorrei apparire sentimentale, ci tengo a fare buona impressione.

DUE PAROLE

Inizialmente colpito dalla freschezza con cui Lucia Berlin solcava le pagine, sono stato piacevolmente attratto da un mondo molto Americano, tanto leggero quanto sagace. Ho perso, lungo la via, l’entusiasmo iniziale. Causa ripetitività dei temi e delle situazioni. Ma ciò non varia il giudizio generale che i racconti mi hanno lasciato. Lasciano, tanto incisivi quanto i personaggi che li rappresentano, un definito ricordo di uomini e situazioni. Dai ricorsivi eccessi d’alcool e tenerezza di alcuni protagonisti, alla tenacia della donna infermiera, pronta a servire il prossimo. Tanti e tanti personaggi marginali. I nativi americani, i latini, le donne e le spose. Scena più riuscita dell’insieme: il nonno dentista che si estirpa la dentatura annegandola nel whisky. Il gran dono di questo libro, che poi è proprio uno dei vantaggi della lettura, è quello di aver vissuto in Lucia, nel suo perspicace modo di guardare  descrivere il mondo. Assecondo la sua frase, la più riuscita del romanzo, manifesto di ogni lettore e ancor più di ogni scrittore: “Che meraviglia poter osservare noi stessi”.