Azar Nafisi – Leggere Lolita a Teheran


All’inizio della rivoluzione avevo sposato un uomo che amavo. In quel periodo Mahshid, Nassrin, Manna e Azin erano appena adolescenti, Sanaz e Mitra ancora più giovani e Yassi aveva solo due anni. Quando nacque mia figlia, cinque anni dopo, eravamo già tornati ai tempi di mia nonna: la prima legge a essere abrogata, diversi mesi prima che fosse ratificata la nuova costituzione, fu quella che proteggeva la famiglia e garantiva i diritti della donna a casa e sul lavoro. L’età minima per il matrimonio venne di nuovo abbassata a nove anni – o meglio, otto e mezzo lunari, ci dissero. L’adulterio e la prostituzione dovevano essere puniti con la lapidazione. E infine le donne, per la legge, valevano esattamente la metà di un uomo. La sharia rimpiazzò la giurisprudenza esistente, e divenne la norma. Da ragazza avevo visto due donne diventare ministro. Dopo la rivoluzione, furono entrambe condannate a morte, con l’accusa di andare contro la legge di Dio e favorire la prostituzione. Una di loro, il ministro per le Questioni femminili, si trovava all’estero quando scoppiò la rivoluzione, e quindi rimase là in esilio, diventando un’attivista dei diritti delle donne e dei diritti umani in genere. L’altra, ministro della Pubblica istruzione e mia vecchia preside alle superiori, venne chiusa in un sacco e lapidata, o forse fucilata. Un giorno le mie ragazze avrebbero guardato a loro con ammirazione e speranza: se avevamo avuto donne simili in passato, non c’era motivo per cui non potessimo averle in futuro. La nostra società era molto più avanzata dei suoi nuovi dirigenti, e le donne, a prescindere dalla posizione religiosa e ideologica, scesero in piazza a protestare contro le nuove leggi. Fu allora che nacque il mito del femminismo islamico – una vera contraddizione in termini, che tentava di conciliare i diritti delle donne con i fondamenti dell’Islam, e consentiva al governo di avere la botte piena e la moglie ubriaca: poteva dichiararsi islamico e progressista, e al tempo stesso denunciare le donne più emancipate come troppo vicine all’Occidente, decadenti e antipatriottiche. Il governo aveva bisogno di noi, uomini e donne moderni, perché gli indicassimo la strada da percorrere, ma doveva anche tenerci sotto controllo. A rendere quella rivoluzione diversa dagli altri sovvertimenti totalitari del Novecento era il fatto che fosse stata proclamata in nome del passato: ciò costituiva la sua forza, ma anche la sua debolezza. Noi, mia nonna, mia madre, mia figlia e io – quattro generazioni di donne – vivevamo nel presente e nel passato, come in due diversi fusi orari simultaneamente. Strano ma vero, la guerra e la rivoluzione ci hanno rese ancora più consapevoli delle nostre vicissitudini personali – soprattutto del matrimonio, il cui nocciolo è la questione della libertà individuale, come Jane Austen aveva scoperto due secoli prima. Lei lo aveva scoperto, riflettevo; e noi, sedute in quella stanza, in un altro paese, alla fine di un altro secolo?

DUE PAROLE

Questo romanzo è immagine e somiglianza della sua autrice, una vera e propria rappresentazione della sua poliedricità e vera testimonianza di quanto sfaccettata sia la vita, l’essenza stessa, di una persona. Così come la scrittrice, il testo vive contemporaneamente di cronaca, passione, di amore, di politica, di ideologismo, di storia, di letteratura e persino di frivolezza. La struttura del libro di divide in quattro macro-capitoli, dedicati ognuno ai pilastri letterari della professoressa Nafisi, insegnante di letteratura inglese all’Università di Teheran, nonché prima donna ad essere eletta nel parlamento Iraniano. Nabokov, Scott Fitzgerald, Henry James e Jane Austen. All’intero di questi capitoli, vengono sviluppati temi differenti che si intrecciano e hanno costituito la vita, le passioni e l’esperienza diretta della scrittrice. Il contesto principale, ovvero quello storico sociale, è quello che ha visto l’Iran trasformarsi da una monarchia a una dittatura religiosa (formalmente in una repubblica islamica sciita) in seguito ai moti della rivoluzione guidata dall’ayatollah Khomeini, dal 1978 in poi. Raffinatissimi sono, infatti, i passaggi dedicati alle assonanze fra i personaggi letterari di turno al contesto socio culturale locale. Un esempio: la Nafisi paragona il protagonista di Lolita in un qualsiasi dittatore di turno “A Humbert, come a quasi tutti i dittatori, interessa soltanto la propria visione degli altri. Ha creato la Lolita dei suoi desideri, e non intende allontanarsi da quell’immagine.” Il testo è inoltre un potentissimo compendio femminista. È un libro primariamente per donne, da donne, con donne. Un testo che contiene in sé testimonianza di persone (soprattutto femminili) vessate, abusate e sottomesse, ma tanto arcigne e coraggiose da spazzare via qualsiasi chiacchiera idealista su ciò che è diventato oggi il femminismo. Ovverosia, a mio personalissimo parere, una versione diluita, edulcorata e fraintesa, di quello che sono i concetti di libertà e diversità. Parlando di cronaca possiamo fintanto spingerci a dire che, a suo modo, siamo di fronte a un romanzo storico. Sicuramente ad un testimonianza. Pur soffermandosi più sulla sfera personale, la scrittrice è in grado di narrare la storia, gli eventi che si sono susseguiti alla caduta della monarchia e all’instaurazione della legge islamica. La lenta e progressiva regressione, culturale e sociale, che ha portato le persone prima per alcuni blandi limiti e poi per una totale repressione delle libertà di base. Ma l’intelligenza dell’autrice spicca e illumina anche su questo tema, ci mostra i risvolti più delicati di una forzatura culturale. Prima ancora che dell’abuso fisico e della violenza. “Il peggior crimine di un regime totalitario è costringere i cittadini, incluse le vittime, a diventare suoi complici.” Infine, condivide con lo scrittore di riferimento per eccellenza, ovvero Nabokov, la condizione di esule. La parte finale del romanzo si concentra infatti sulla difficoltà della donna costretta a dover abbandonare la propria patria (pur odiandola, per certi versi). Vi sono anche parti più leggere però, ed è questo a rendere il libro universalmente leggibile e ad averlo trasformato in un clamoroso successo commerciale (credo ad oggi ammontino a più di trenta, le traduzioni nel mondo). Perché il libro che parla di libri, di quel leggero e piacevole –ma si badi, impegnatissimo- discorrere di letteratura, non abbandona mai la scena. Anzi! Ne è primo attore. I libri, i grandi libri, sono i co protagonisti dell’opera e tutto ciò che vi gira attorno, che vanno fa frivoli commenti personali ad accademici esposti, non sono altro che il sale della lettura.