Robert Musil – I turbamenti del giovane Törless


Perché i pensieri sono qualcosa di strano. Spesso non sono che accidentali; passano senza lasciar traccia; e i pensieri hanno la loro stagione morta e la loro stagione viva. Talvolta si può avere un’intuizione geniale e tuttavia essa appassisce lentamente sotto le nostre mani, come un fiore. La forma rimane, ma mancano i colori, il profumo. Cioè, ce ne ricordiamo parola per parola, e il valore logico della proposizione scoperta rimane intatto, tuttavia galleggia senza meta alla superficie della nostra mente, e non ci sentiamo piú ricchi per questo. Finché, magari dopo anni, ritorna all’improvviso un momento in cui ci accorgiamo che nel frattempo non avevamo capito niente benché in termini di logica avessimo capito tutto. Sí, vi sono pensieri vivi e pensieri morti. Il pensiero che si muove sulla superficie illuminata, che può sempre essere verificato e riscontrato lungo i fili della causalità, non è necessariamente il pensiero vivo. Un pensiero che s’incontra in questo modo rimane indifferente come un uomo qualsiasi in una colonna di soldati in marcia. Anche se un pensiero è entrato nella nostra mente molto tempo prima, prende vita solo nel momento in cui qualcosa, che non è piú pensiero, che non è piú logico, si combina con esso, cosí che noi sentiamo la sua verità, al di là di ogni giustificazione, come un’ancora che lacera la carne viva e calda… Ogni grande scoperta si compie solo per metà nel cerchio illuminato della mente cosciente, per l’altra metà nell’oscuro recesso del nostro essere piú interiore, ed è innanzi tutto uno stato d’animo alla cui estremità sboccia il pensiero come un fiore.

DUE PAROLE

Costretti in una società dove ogni membro è patriotticamente avvenghiato alla cultura della colpa e della tortura dei più deboli. Basini stesso rifiuta di uscire dalla sua condizione di larva antropomorfa e preferisce soccombere ai vituperi dei suoi compagni. L’allievo, lo studente, l’inesperienza sono pertanto impossibilitati ad accedere ai misteri della vita. Törless è infatti stregato da questo impulso, folgorato sulla via di Damasco come Paolo. La rivelazione si incarna nella matematica e nella sua effimera Essenza. Per la precisione nella considerazione intellettuale dei numeri immaginari, presentati al cadetto dal zelante professore di fisica. Törless non cerca solo la verità, ma si addentra nell’impossibilità di carpire i segreti della causalità degli eventi. Törless ricerca, insomma, il vero motore del mondo. L’insufficienza del pensiero umano è in rigoroso contrasto con la disciplina (l’ambito accademico militare è dunque perfetto teatro del racconto). Il romanzo è creato in forma di testo di formazione, probabilmente uno dei più brillanti letti dal sottoscritto. Törless arriva dunque a scontrarsi con il muro che ogni umano pensante deve prima o poi affrontare quando si sfida la razionalità: l’ambito teologico. Nella repulsione sessuale verso basini, il protagonista mostra quel viscerale senso di attrazione verso l’occulto (si legga verso l’incompreso). Che “sembra aver una sensibilità ricettiva per l’essenza sottile, divina, della morale, che trascende j limiti del nostro intelletto”. Törless però non si riconosce nemmeno nel temperamento mistico della comprensione, la sua figura è infatti a metà fra il profetico Beineberg e il freddo Reiting. Egli percorre il filo della dualità senza riuscire a sbilanciarsi verso una risposta. Come un cervello dai due emisferi, che oppone razionalità agli istinti, il giovane torless arriva alla scoperta della sua maturità, ovvero che ogni cosa, anche la più complicata, può essere vista per la sua verità e per il suo contrario. Che l’ombra è luce.