Douglas Coupland – Generazione X


«Papà era dentro a comprare una cartina stradale, e io stavo fuori, mi sentivo un vero uomo, tutto fiero di non aver combinato casini, per intenderci non avevo dato fuoco alla stazione di servizio o altro, e mancava pochissimo al pieno. Papà è uscito proprio mentre stavo finendo di riempire il serbatoio, e a quel punto la pompa è impazzita completamente. Ha cominciato a schizzare benzina dappertutto. Non so perché, ma è successo: mi ha inzuppato i jeans, le scarpe da jogging, la targa della macchina, è finita per terra come dell’alcol viola. Papà ha visto tutto, io credevo che mi avrebbe fatto un culo così. Mi sentivo piccolo piccolo. E invece lui ha sorriso e mi ha detto: “Ehi, campione. Fantastico l’odore della benzina, vero? Chiudi gli occhi e respira. Sa di pulito. L’odore del futuro”. «Allora gli ho obbedito: ho chiuso gli occhi, proprio mentre lo diceva, e ho inspirato profondamente. E in quel momento ho visto la luce fortissima del sole, arancio, penetrarmi sotto le palpebre, ho sentito l’odore della benzina, e mi sono cedute le gambe. Ma è stato l’istante più perfetto della mia vita, per cui se me lo chiedete (cosa che spero vivamente) vi dirò che senz’altro il paradiso dev’essere molto simile a quella manciata di secondi. È questo il ricordo che avrò della Terra». «La benzina era con piombo o senza?» chiede Tobias. «Con piombo» risponde Dag. «Perfetto».

DUE PAROLE

Solo i primi due capitoli meriterebbero una cornice. Contengono in nuce l’intero tema del romanzo-simbolo generazionale. Con poche parole Douglas incastona la sfiducia, la tristezza e soprattutto l’incertezza di una intera classe di ragazzi iconizzandole come solo un altro grandissimo classico di quei tempi ha saputo fare: “Black Hole Sun”. Forse si potrebbe fermare già qui la recensione, alla pittoresca alba di un sole nero, quella che ha ormai superato lo spauracchio nucleare, quel cielo coperto dalla nuvola atomica non genera più angoscia. È il colore spento e sbiadito di un futuro grande ma incerto, gigantesco come una tetra stella in declino a sterilizzare e placare gli animi di questa classe. (In my eyes / Indisposed / In disguises no one knows / Hides the face / Lies the snake / And the sun in my disgrace / Boiling heat / Summer stench / Neath the black, the sky looks dead / Call my name / Through the cream And I’ll hear you scream again / Black hole sun, Won’t you come…)
Vi ho trovato una vena di Salinger riadattato al post-modernismo, ho sentito un Giovane Holden moderno: Dag e i suoi amici hanno sempre un secondo o terzo livello di lettura delle cose. Quel modo ingenuo di osservare una dimensione comune. Ma se nel “catcher in the rye” l’osservazione era acuta, singolare, spirituale e spiritosa, qui è l’appiattimento della massa e del sentire comune a cantare. Gia copertina è significativa. Il volto cancellato dal colore è simbolo di una grande speranza che altro non ha fatto se non anonimizzare il singolo. La promessa di un mondo caleidoscopico ha finito per accecare i ragazzi, zittendoli. Il lamento è pressoché perfetto, quanto sintomatico: “O le nostre vite diventano storie, o non c’è modo di riuscire a finirle”. È per questo che il deserto diventa il porto franco in cui è possibile isolarsi dal mondo per udire la propria voce. Il nirvana di una generazione che “confonde lo shopping con la creatività”. (sic!) I ragazzi allora raccontano storie come diversivo, come se avessero paura che – nel raccontare le loro vere vite – cadesse nel disinteresse comune, nell’anonimato del mercato, nel cruccio della loro generazione. È quindi con timidezza, dote caratteristica di ogni giovane, che provano a parlare di sé stessi, a raccontare le loro vite e le loro emozioni plastificate. (“mi spaventa non riuscire a vedere un futuro. E non riesco a controllare questo riflesso condizionato che mi obbliga a fare il sarcastico su tutto. Mi fa davvero paura. Magari sembra che non presti attenzione a quello che mi succede intorno, Andy, e invece non è vero. Solo che non posso permettermi di mostrarlo. E non so perché”.) Inappuntabilmente, il sesso è il grande assente del romanzo, anzi, di ogni discorso. Dal simbolico amore adolescenziale rincontrato come mezzo eunuco, mutilato di un testicolo, effige di una generazione asessuata ovvero priva di desiderio in senso lato, l’espressione della generazione X è sublimata nell’assenza di desiderio dove i giovani, cito “sanno benissimo che il futuro è un barbone senza casa che se ne frega dei programmi televisivi e che sigillerà tutte le gabbiette dei canarini col nastro adesivo. Ma non vogliono parlarne”. Un testo cruciale per capire un’epoca, una post-epoca e una intera generazione che di questi valori ha lasciato un’inestirpabile eredità. Quella di una massa di persone che “spreca la gioventù a conquistare la ricchezza e la ricchezza a conquistare la gioventù”.