Gabriel Garcia Marquez – Dell’amore e di altri demoni

Una mattina di piogge tardive, sotto il segno del Sagittario, nacque settimina e male Sierva María de Todos los Angeles. Sembrava un girino sbiadito, e il cordone ombelicale arrotolato intorno al collo stava per strozzarla. “È femmina” disse la mammana. “Ma non vivrà.” Fu allora che Dominga de Adviento promise ai suoi santi che se le avessero concesso la grazia di vivere, la bambina non si sarebbe tagliata i capelli fino alla sua notte di nozze. L’aveva appena promesso quando la bambina scoppiò a piangere. Dominga de Adviento, giubilante, cantò: “Sarà santa!”. Il marchese, che la conobbe ormai lavata e vestita, fu meno chiaroveggente. “Sarà puttana” disse. “Se Dio le concede vita e salute.”

DUE PAROLE

Spulciando la cronologia delle pubblicazioni dell’autore si può facilmente capire come Dell’amore e di altri demoni arrivi posteriormente rispetto ai suoi due più grandi lavori. Il libro sembra l’artefatto mancante fra Cent’anni di solitudine e L’amore ai tempi del colera. Una passionale storia d’amore destinata ad accendersi in tragedia. Quasi una fiaba di cavalieri trasposta nella magia ancestrale e pur sempre epica del teatro sudamericano, dove le leggende locali si mischiano al misticismo cattolico, tra eresie e inconsulte volgarità dell’amore. Così la principessa demonio, con la sua lunga chioma salvifica attende il cavaliere nella torre eremitica, segregata tra le grinfie di una strega di clausura che ben interpretata l’ottusità cristiana di chi vuole vedere ciò che già crede. Un romanzo debole e aihmè assai poco originale, ma pur sempre vergato da uno scrittore magnificente.