Herzog + Amedeo Modigliani

leon-indenbaum-1915

DAL TESTO

“Se sono matto, per me va benissimo, pensò Moses Herzog.”

 

ORIGINI

Herzog – Saul Bellow – 1964

Leon Indenbaum – Amedego Modigliani – 1915

 

DUE PAROLE

Una volta lessi una recensione su un disco dei Pixies molto interessante. Parlava di come la loro musica riuscisse ad incanalare tutta la rabbia espressa fino ad allora, catalizzandola e stigmatizzandola, senza mai portarla all’esplosione (ne trovate un esempio qui sotto). La cultura cristiana, così come la maggior parte dei disturbi psicologici moderni, culminano con una redenzione simbolica dell’individuo. Una catarsi, spesso incontrollabile e violenta, che funge da leva liberatrice. Se questo è il comportamento per antonomasia, non solo del singolo uomo, ma dell’intera società e della sua sottomissione ai dolori della vita, della sua meschinità, Herzog allora è l’esempio supremo di violenza repressa e controllata, di estrema comprensione della nostra natura di eterni sconfitti. Impossibilitati a comprenderci, rinunciamo alla lotta in una nuova forma di nichilismo passivo, incapace al rifiuto. Il protagonista, alter ego di Bellow, è un vinto d’immagine dantesca costretto “nel mezzo del cammin di nostra vita” per una selva oscura di doveri. Nella lunga accozzaglia di ricordi, lettere, incontri e riflessioni filosofiche (magistralmente alternati da una voce narrante isterica e irregolare), Moses accetta tutto ciò che succede senza mai reagire. Positivo o negativo che sia, ogni evento viene subito. Persino la follia, cornice perfetta di apertura e chiusura del libro, viene accettata come tutte le altre cose capitategli. Herzog è un libro colossale, profondo, simbolico, ma soprattutto intimo, che non esplode mai, che rasenta costantemente la linea dell’eternità come un coito mancato.