I piaceri che riserva l’uso del tagliacarte sono tattili, auditivi, visivi e soprattutto mentali. L’avanzata nella letturaè preceduta da un gesto che attraversa la solidità materiale del libro per permetterti l’accesso alla sua sostanza incorporea. Penetrando dal basso tra le pagine, la lama risale d’impeto aprendo il taglio verticale in una scorrevole successione di fendenti che investono ad una ad una le fibre e le falciano, – con un crepitio ilare e amico la buona carta accoglie quel primo visitatore, che preannuncia innumerevoli voltar pagine mosse dal vento o dallo sguardo – ; maggiore resistenza oppone la piega orizzontale, specie se doppia, perché esige una non agile azione di rovescio, – là il suono è quello d’una lacerazione soffocata, con note più cupe. Il margine dei fogli si frastaglia rivelandone il tessuto filamentoso; un truciolo sottile, – detto “riccio”, – se ne distacca, gentile alla vista come schiuma d’onda sulla battima. L’aprirti un varco a fil di spada nella barriera dei fogli s’associa al pensiero di quanto la parola racchiude e nasconde: e ti fai largo nella lettura come in un fitto bosco.
DUE PAROLE
Metaromanzo di Calvino, che si rivolge direttamente al lettore infrangendo ogni regola di bon ton narrativo; confondendo, mischiando ammucchiando storie (estratti di romanzi mai esistiti) una sopra l’altra. Si inizia cercando un lontano romanzo polacco “Fuori dall’abitato di Malbork” per poi passare alla lingua cimmera e al testo “Sporgendosi dalla costa scoscesa”, poi a “Senza temere il vento e la vertigine”, poi a “Guarda in basso dove l’ombra si addensa”, poi a “In una rete di linee che si allacciano”, poi a “Sul tappeto di foglie illuminate dalla luna”, poi a “Intorno a una fossa vuota” per finire con “Quale storia laggiù attende la fine?”. Un romanzo dentro l’altro un passaggio labirintico di scatole cinesi con un costante tono canzonatorio dal sapore anti accademico (che sempre contraddistingue l’approcio da menestrello dell’autore). “Se una notte d’inverno un viaggiatore” è un romanzo che non esiste e alla quale, credo, sia bene giungere da lettore esperto. Poiché, temo, tanta libertà può scoraggiare qualsiasi neofita. La curiosità di leggerlo in parallelo alla consultazione del “Codex Seraphinianus” (lodato fra l’altro dallo stesso Calvino) lo ha reso una lettura ancora più bislacca. Nonostante –personamente- reputi inconcludente e del tutto risibile l’approciare l’infinità dei testi con la pura casualità narrativa, (non si può, insomma, tentare di scrivere un ipertesto utilizzando, come mezzo, un romanzo finito – a meno che non ci si chiami Borges) si percepisce, e forse si apprezza, la sfida nel provare ad estendere e approfondire l’atto della percezione del significante ai danni del significato. Un viaggio metaforico di un romanzo che viaggia fra i romanzi, un parallelo della lunga e incosistente relazione che si sviluppa tra il lettore e ciò che affronta, che termina con la bellissima immagine di un simbolico matrimonio fra noi (il lettore) e Ludmilla (il testo, la lettura o semplicemente ogni nostra controparte).
Un libro che non ho particolarmente gradito, eppur che ho legato ad un’altra lettura a me cara: “Diario d’inverno” di Paul Auster. Non solo per il freddo richiamo del titolo, ma anche per il diretto richiamo al lettore con la scelta d’utilizzo della seconda persona singolare.
INFO UTILI
Intorno alle 6 ore di lettura
ISBN 9788804668381