François Mauriac – Thérèse Desqueyroux

L’infanzia di Thérèse: neve alla sorgente del fiume più melmoso. A scuola, pareva che vivesse indifferente e come estranea alle banali tragedie per cui si struggevano le compagne. Spesso le insegnanti le esortavano a prendere a modello Thérèse Laroque: “Thérèse non chiede altra ricompensa che la gioia di realizzare in sé un tipo di umanità superiore. La sua coscienza è la sua unica luce, e le basta. L’orgoglio di appartenere a una élite le dà un sostegno più solido del timore del castigo…”

 

DUE PAROLE

Thérèse si inserisce con vigore in mezzo a tutte le eroine dannate della letteratura. Thérèse resiste al fianco della Bovary, della Karenina e di Lady Chatterley. Essa rappresenta il Cristo femminile, la sofferenza incompresa delle madri di questo mondo. La vita di Thérèse Desqueyroux non vede mai luce, è un percorso atro e profondo, dal quale non si può scappare. Thérèse è fatta della stessa sostanza dell’infelicità, recita lei stessa: “Non preoccupatevi per me. Mi dileguerò subito, se volete, nella notte. La foresta non mi fa paura, non mi fanno paura le tenebre. Mi conoscono, le tenebre; ci conosciamo. Sono stata creata a immagine di questa terra arida”.
In una vita irrisolta, che mai l’abbraccia né la capisce, si trova, sola contro tutti, a lottare disperatamente contro la borghesia, incarnificata nel marito Bernard. Il tentativo di omicidio del marito non è un gesto premeditato, rappresenta soltanto il desiderio di fuga e distruzione di tutto ciò che lei stessa non vuole e non può essere. Ironico, tristemente ironico, il fraintendimento del gesto da parte del coniuge che, da piccolo borghese qual è, non riesce a raccapezzarsi sul movente. Thérèse non è mossa da gelosia, né da noia, né da ambizione. Thérèse cerca di uccidere il marito per rompere le catene del suo gioco, di un cella angusta che la piccola società provinciale del luogo le costruisce attorno. Le scelte già fatte, i discorsi precostruiti, un destino segnato da canoni dettati dalla cecità borghese. Nessuno delle persone che sta attorno a Thérèse riesce a capirne il gesto e per questo annega sola nel tetro oceano della sua anima. I possedimenti, l’onore della famiglia, i piccoli guadagni annichiliscono la sua triste storia che annega e per sempre viene messa a tacere nel suo esilio spirituale.
“Non si alza più dal letto, non tocca né la carne né il pane, ma la bottiglia se la scola tutta, te l’assicuro. Più gliene diamo e più ne beve, quella troia. E poi brucia le lenzuola con le sigarette. Finirà per dar fuoco alla casa. E fuma così tanto che ha le dita e le unghie gialle come se le avesse bagnate nell’arnica: che peccato! Lenzuola di famiglia, tessute in casa…”
La prigione inespugnabile dalla quale solo la Nora di Ibsen de “la casa di bambola” riuscì a fuggire.

 

INFO UTILI

2 ore e mezza di lettura circa
Edizioni Adelphi (ISBN 9788845923876)
in copertina un quadro di Elin Danielson del 1899