Jonathan Franzen – Libertà

Patty commise in seguito a quella scoperta supererebbe l’attuale lunghezza di questo documento, che è già abbastanza lungo. L’autobiografa è ancora cosí piena di vergogna per quello che ha fatto a Joey che non riesce neppure a raccontarlo in modo coerente. Chiunque si ritrovi, alle tre di notte, a uscire nel viottolo dietro la casa del vicino per distruggere con un taglierino le gomme del suo pick-up, può difendersi invocando l’infermità mentale. Ma sarà una difesa valida anche dal punto di vista morale? Per la difesa: Patty aveva provato, fin dall’inizio, a spiegare a Walter com’era fatta. Lo aveva avvertito che in lei c’era qualcosa che non andava. Per l’accusa: E infatti Walter si era mosso con cautela. È stata Patty che lo ha raggiunto a Hibbing e gli si è buttata fra le braccia. Per la difesa: Ma stava cercando di essere buona e costruirsi una vita felice! E poi ha promesso di essergli fedele in salute e malattia, e si è fatta in quattro per essere una brava mamma e donna di casa. Per l’accusa: Ha agito per motivi sbagliati. Era in competizione con la madre e le sorelle. Voleva che i suoi figli gettassero discredito su di loro. Per la difesa: Ma lei amava i suoi figli! Per l’accusa: Amava Jessica in modo equilibrato, ma Joey lo ha sempre amato troppo. Sapeva cosa stava facendo e non si è fermata, perché non sopportava il fatto che Walter fosse diverso da come lei lo voleva, e perché aveva un brutto carattere e pensava di aver diritto a un risarcimento perché era una grande atleta intrappolata in una vita da casalinga. Per la difesa: Ma al cuore non si comanda. Non era colpa sua, se il piú piccolo gesto di Joey la riempiva di gioia. Per l’accusa: Certo che era colpa sua. Non puoi amare alla follia biscotti e gelati e poi dire che non è colpa tua se pesi centocinquanta chili. Per la difesa: Ma lei non lo sapeva! Credeva di agire per il meglio, dando ai suoi figli l’attenzione e l’amore che i suoi genitori non avevano dato a lei. Per l’accusa: Lo sapeva, invece, perché Walter glielo aveva detto e ridetto. Per la difesa: Ma Walter non era credibile. Patty pensava di dover fare il poliziotto buono e difendere Joey, perché Walter si comportava da poliziotto cattivo. Per l’accusa: Il problema non era fra Walter e Joey. Il problema era fra Patty e Walter, e lei lo sapeva. Per la difesa: Lei ama Walter! Per l’accusa: Le prove dimostrano il contrario. Per la difesa: Be’, in tal caso, neppure Walter l’ama. Non ama la vera Patty. Ama un’immagine che non corrisponde alla realtà. Per l’accusa: Sarebbe comodo pensarlo, se fosse vero. Purtroppo per Patty, Walter non l’ha sposata malgrado fosse fatta cosí, ma proprio perché era fatta cosí. Le brave persone non si innamorano sempre di brave persone. Per la difesa: Non è giusto dire che non lo ama! Per l’accusa: Non importa se lo ama oppure no, se non riesce a comportarsi bene.

DUE PAROLE

Se qualche lettura fa ero a lamentarmi di romanzi che affrontano il tema della sovrappopolazione con risultati assai deludenti, in questa occasione non posso che elogiare Franzen per la maestosità e riuscita dell’opera prodotta, e annoverarlo di diritto fra i migliori romanzieri in circolazione. Già positivamente scottato da “le correzioni”, torno all’autore americano scoprendo un testo forse ancora più armonico, complesso, completo e profondo. L’architettura stilistica è la stessa, un ordinato meccanismo famigliare al cui interno Franzen snocciola e sgretola le singole storie dei personaggi, portando ad ogni capitolo e ad ogni protagonista di turno, la profondità e la complessità degli stessi. Narrativamente parlando, tutto scorre. E scorre bene. Il testo è pieno di tensione emotiva, generata dai drammi routinari, da quella borghesia così ovvia, dopata da depressione e irrazionalità, che ognuno di noi, posto di fronte a quelle pagine, non può fare a meno di sentire sua. Franzen dispone di quella rara dote letteraria di saper descrivere l’ovvio, il già detto, la normalità. Non mi sento in difetto a dire che un incipit tolstojano, tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro ogni famiglia infelice è infelice a suo modo, non stonerebbe affatto in prefaziona al testo. Anzi, la famiglia è proprio il palcoscenico delle sue narrazioni. La trave portante del castello letterario. Un microsistema indispensabile per spiegare il mondo e l’umanità. La tragedia, invece, è il megafono con cui l’atto viene recitato. Sintesi estrema della società moderna, la famiglia Berglund vive di contraddizioni e limiti, ma soprattutto di autolesioni. Tutti i personaggi hanno a che fare con il dramma della libertà, questo splendido panorama che fa da scenario a tutto il libro. Tutti, nessuno escluso, sono assoggettati alle scelte che la vita impone. Lottano per essere qualcosa di diverso (nel caso di Patty, ad esempio, è anche difficile capire cosa) ma falliscono costantemente. Per anni. “non era la persona che avrebbe creduto o che avrebbe scelto di essere, se fosse stato libero di scegliere, ma c’era qualcosa di consolante e liberatorio nel ritrovarsi un individuo concreto e definito, anziché una collezione di individui potenziali e contraddittori“.
Ci troviamo di fronte a umani cristallizzati nei propri ruoli. Se da fuori la famiglia Berglund è motivo di invidie sociali, al suo interno vige ben altro statuto: quello della rovina e della distruzione. I drammi personali sono veri, profondi, quasi atavici, come se venissero tramandati per generazioni a guisa di una instancabile maledizione che perseguita e perseguiterà per l’eterno le generazioni venture. È l’eredità del destino e della “gestione” della propria libertà fra generazioni. Il carattere di Walter, così schiavo del dovere e della morale, è il diretto risultato dell’essere figlio dell’esule svedese Einar: “la personalità incline al sogno di una libertà senza limiti è anche propensa, nel caso in cui il sogno si infranga, alla misantropia e alla rabbia).
Tutti ossessionati dalla libertà, chi più e chi meno scientemente. Patty. Joey. Richard. Jessica. Lalitha. Tutti a subire la legge del trapasso. Possiamo ovviamente usare questi protagonisti come feticci generazionali, indirizzando ognuno dei componenti dei Berglund a una classe sociale. Non solo. Possiamo spostarci un po’ più in là e riconoscere l’ecosistema famigliare come metafora degli stati uniti, del sogno americano così tanto attaccato al principio di libertà e scelta. L’impegno di Walter, ma anche della madre di Patty, così poi come le amicizie ebraiche di Joey, portano il piano politico in risalto, fanno diventare il testo un manifesto dell’umanità del ventunesimo secolo. Una civiltà che vuole essere liberale e innovativa, libera! ma schiava sodomizzata del capitalismo. Le tendenze non repubblicane di Walter costrette a lavorare per esponenti di punta del partito sono l’esempio supremo. Il salvataggio dell’uccellino montano che giustifica la disintegrazione delle cime naturali della valle ne è il triste effetto. Ecco la trasposizione al mondo attuale (attualissimo, direi, visto che il romanzo è stato scritto dieci anni fa e prende ancor più senso oggi), di un mondo che basa le proprie fondamenta sull’economia e sul libero mercato. Di un ecosistema che ha bisogno di crescere per sostenersi, ma che così facendo inquina e auto distrugge lentamente il proprio stesso ambiente. La sovrappopolazione è, al pari di tutte le altre mire capitalistiche espresse da Joey, l’ennesima gabbia o trappola. La libertà è un miraggio, è inesistente, è un paradosso che non ha motivo di esistere in un mondo che dovrà sempre fare i conti con gli equilibri. E quale altro miglior vettore di equilibri poteva essere utilizzato se non la politica? solo uno scrittore raffinato ed elegante come Franzen riesce con convinzione ad accompagnare e fondare l’amore in questo spinoso campo. i drammi famigliari inscenati, ma così anche le scelte implacabili e crudeli prese dai vari personaggi, sono eventi del destino incontrollabili. Solo da queste prigioni, in effetti, si può sognare – e quindi parlare – di libertà senza essere così ipocriti.