Joris Karl Huysmans – Controcorrente


Ora che la necessità s’imponeva di far pelle nuova, avrebbe voluto possedere a qualunque costo la fede; appropriarsela in modo da non smarrirla più; farne sua carne e suo sangue; metterla al riparo da tutti i dubbi che la insidiavano, che minacciavano di sradicarla. Ma più una simile fede la invocava e meno si colmava il vuoto della sua anima, più il Cristo indugiava a visitarlo. Anzi quanto più imperiosa diveniva la sua fame di credere, quanto più l’agognava, riscatto per l’avvenire, viatico per la nuova vita da affrontare, quella fede – che si lasciava vedere ma ad una distanza che lo sgomentava – tanto più alla sua mente perennemente febbricitante idee s’affollavano che facevano capitolare la malferma volontà, che lo portavano a ripudiare per ragioni di buon senso, per prove scientifiche, i dogmi ed i misteri. «Bisognerebbe che riuscissi a far tacere queste dispute con me stesso» si disse con dolore. «Bisognerebbe che potessi chiuder gli occhi, abbandonarmi alla corrente, scordare le malaugurate scoperte che da due secoli han distrutto da capo a fondo l’edifizio religioso.

DUE PAROLE

Criptico e decadente dandy di periferia, eremitico e tetro esteta dell’occulto, Des Esseintes vive lontano da ogni forma di mondanità ma sguazza e si sollazza di effimere vacuità. Il protagonista di Huysmans rifugge il popolo e si chiude nella sua prigione dorata. Come un dandy, come un vampiro, egli evita gli incontri e i piaceri carnali (finanche il cibo gli vien spesso a noia) così da colmare la propria esistenza di barocchi lussi intellettuali. Siamo di fronte alla condizione umana di snobismo e intolleranza per eccellenza. Ma il capriccio è solo una facciata. Quello che può sembrare l’uzzolo d’un giovane ricco che ha perso fiducia nella triviale umanità (dal testo: “flutti della umana mediocrità arrivano al cielo”) è in realtà la rivelazione di una profonda crisi spirituale. Tutto il romanzo è perfettamente leggibile come metafora dell’uomo sperso e desolato nella propria limitata intelligenza (e cultura). E sebbene “à rebours” possa essere indicato come lo spirito del tempo europeo, di quella decadenza propria della fine di ogni di ideologia, il sottoscritto pensa che il viaggio “a ritroso” o “controcorrente”, come citato in diverse traduzioni, sia in realtà il percorso che l’uomo di spirito debba – di fronte alla pochezza dei vizi terreni – tenere per trovare la vera scintilla. Ebbene, sappiamo che Hyusmans leggesse la vita in accezione religioso cristiana, ma par ovvio che ogni lettore possa far suo il percorso e dunque il fine di questo viaggio in senso opposto. È limpido infatti come l’autore escluda qualsiasi altra voce esterna alla vicenda che non sia quella interiore. Il mondo visto da una cella blindata che impedisce all’intrappolato di mostrarsi al prossimo. È lì che nasce un profondo complesso di accettazione della “realtà”, l’impossibilità a frequentarla e il relativo rifiuto, che giugne quindi come un’imposizione piuttosto che da una viziosa e arbitraria volontà. 

Letto oggi il testo rimane ostico. La clausura ottocentesca pregna di colori, titoli, profumi, autori, ricette e didascaliche testimonianze della strettissima fetta di ossessione che il protagonista autore portano in scena non aiuta il frettoloso lettore odierno, già incapace di gestire i suoi frenetici e superficialissimi tempi, rimanendo dunque – a mio personalissimo avviso – un classico incapace di saper parlare negli anni.