Leonardo Sciascia – La scomparsa di Majorana


Come tutti i siciliani “buoni”, come tutti i siciliani migliori, Majorana non era portato a far gruppo, a stabilire solidarietà e a stabilirvisi (sono i siciliani peggiori quelli che hanno il genio del gruppo, della “cosca”). E poi, tra il gruppo dei “ragazzi di via Panisperna” e lui, c’era una differenza profonda: che Fermi e “i ragazzi” cercavano, mentre lui semplicemente trovava. Per quelli la scienza era un fatto di volontà, per lui di natura. Quelli l’amavano, volevano raggiungerla e possederla; Majorana, forse senza amarla, “la portava”. Un segreto fuori di loro – da colpire, da aprire, da svelare – per Fermi e il suo gruppo. E per Majorana era invece un segreto dentro di s‚, al centro del suo essere; un segreto la cui fuga sarebbe stata fuga dalla vita, fuga della vita. Nel genio precoce – quale appunto era Majorana – la vita ha come una invalicabile misura: di tempo, di opera. Una misura come assegnata, come imprescrittibile. Appena toccata, nell’opera, una compiutezza, una perfezione; appena svelato compiutamente un segreto, appena data perfetta forma, e cioè rivelazione, a un mistero – nell’ordine della conoscenza o, per dirla approssimativamente, della bellezza: nella scienza o nella letteratura o nell’arte – appena dopo è la morte.

DUE PAROLE

Sciascia compendia la vita del famoso fisico italiano scomparso nel 1938. Come sempre di parte, come sempre impegnato, l’autore ci dà il suo punto di vista cercando di regalare ai posteri il contesto italiano dei suoi anni e del suo tempo. E siccome “i morti si trovano, ma sono i vivi che possono a scomparire” il dubbio della morte prematura rimane preponderante per tutte le pagine. In una magia narrativa si fondono insieme i pilastri siciliani della cultura, la scienza e la letteratura, in quel tratto d’unione che unisce da sempre i giganti sopra ogni arte. Majorana, Mattia Pascal e Sciascia stesso sono facce dello stesso dado: espressione tanto reale quanto fittizia della propria terra.