
“Perché mi tocchi?”, chiese la monaca rossa in visa, affrettando il passo.
Gli uomini nella taverna scoppiarono a ridere. E vedevano che le sue prodezze venivano apprezzate, Ah Q si sentì ancora più in vena. “Se ti tocca il monaco, allora perché non dovrei farlo anch’io?”, disse pizzicandole una guancia.
Si sentì un altro scoppio di risa dalla taverna. Ah Q, sovreccitato, pensò di dar soddisfazione a quegli uomini che con ogni evidenza stavano apprezzando il suo operato, e prima di lasciare andare la monaca le pizzicò la guancia ancora più forte. Aveva ormai dimenticato gli incontri con Barba Wang e con l’Adoratore del Demonio straniero, come se le precedenti sfortune fossero state abbondantemente vendicate. Stava anche meglio che dopo la seconda serie di legnate, si sentiva leggero e ottimista: gli sembrava quasi di potersi mettere a volare da un momento all’altro. “Ah Q, che tu possa morire senza figli!” gridò con voce lacrimosa la giovane monaca, ormai lontana. Ah Q scoppiò in un’allegra risata. E gli uomini della taverna scoppiarono a ridere a loro volta, anche se sembravano leggermente meno soddisfatti di lui.
DUE PAROLE
Il semplice operario Ah Q subisce costantemente le angherie del mondo adulto, borghese, che lo circonda. Egli le assorbe e le esplora con l’ingenuità di un bambino. Forse di un innocente. Ah Q è un uomo passivo, che soccombe della sua assenza di volontà prima ancora che della volontà perversa degli altri essere umani. Ah Q non rifiuta, non combatte, subisce insulti e ingiustizie e il romanzo è una metafora incisiva e silenziosa dell’accettazione – filosofica e politica – dell’ignavia.