Oggi il diavolo non ha piú le corna, né la mantellina a due facce, non sprigiona piú vapori di zolfo, non ci spaventa con il suo aspetto, ma anzi fa di tutto per rendersi utile e simpatico. Non ha, come si potrebbe pensare, l’aspetto dell’imbonitore, né del lenone che ci strizza l’occhio, e neppure quello del compagnone ridanciano, dall’inesauribile repertorio di storielle piccanti. Ha sempre un aspetto curato, veste in doppiopetto, ha un eloquio forbito, un tono di voce suadente. Salvo un particolare che al momento sfugge all’attenzione, ma che è tuttavia percepito inconsciamente e lo rende ridicolo. È come scorgere, nell’abbigliamento di chi si picca di sfoggiare una sofisticata eleganza, l’etichetta del prezzo ancora attaccata al colletto della giacca. Ma guai a scoprire questo particolare, o meglio, guai a farsi scoprire di averlo notato, perché questo lo manderà su tutte le furie, e allora vi prenderà di mira. È infatti estremamente suscettibile, è l’ultima ruota del carro, il fanalino di coda della gerarchia infernale, e perciò motivato ancor piú a far carriera; in altre parole, è il prototipo del caporale che aspira a diventare un giorno il grande condottiero. Ma, come tutti noi, anche il diavolo deve fare i conti con la Storia e i suoi mutamenti. A causa dei progressi della scienza e della tecnologia, il terreno gli è venuto a mancare sotto i piedi, e ha dovuto ben presto accettare la modernità, o meglio, rassegnarsi a essere inadeguato ai cambiamenti repentini del nostro secolo. Ormai i grandi palcoscenici di un tempo, con le affascinanti scenografie che ne esaltavano la figura, non esistono piú; le imponenti cattedrali sono sostituite da chiese progettate da men che mediocri architetti, i grandi teatri sono disadorni come oratori parrocchiali, e i tenebrosi castelli, quando non sono diroccati del tutto, vengono invasi da torme chiassose di mocciosi, accompagnati da genitori che si aggirano per le sale con il Baedeker in mano e il naso per aria. In uno scenario del genere, cosa resta al povero diavolo della vecchia scuola? Che cosa deve fare per non essere surclassato dalle nuove generazioni diaboliche? Ormai è troppo vecchio per potersi aggiornare – già, perché anche il diavolo incarnato è sottoposto di conseguenza alle leggi terrene: invecchia, va fuori moda, perde il suo smalto, si ammala e infine muore, dannato come lo era alla nascita. L’ambito delle sue operazioni si è ridotto di molto, i suoi trucchi da prestigiatore sono ormai cosa vecchia: il mondo del cosiddetto potere spirituale è fuori dalla sua portata, e così pure quello del potere finanziario, che è ormai appannaggio della politica corrotta; ciò che gli resta, quindi, è solo il potere fine a se stesso, quello che si esercita in qualsiasi congregazione umana dove ci sia della competizione. Potrebbe essere la bocciofila del quartiere come il più esclusivo circolo rotariano. Ma tanto meglio se si tratta di competizione pseudo-intellettuale. Quindi, il suo luogo ideale è la società letteraria, non solo perché la letteratura è l’ultimo lembo del sapere che gli riconosca ancora una certa credibilità, ma anche perché è il luogo dove ogni vanagloria, alimentata dall’invidia, cresce a dismisura, dove anche il piú banale dei pensieri – purché sia impresso a caratteri tipografici – viene accettato come verità assoluta.
DUE PAROLE
Con uno scheletro narrativo a scatole cinesi, classico di Maurensig, l’autore passa di voce in voce per raccontare la vicenda di un piccolo paese svizzero, dove si è data prova del passaggio del demonio (nonché dell’illustre letterato Goethe non a caso già autore del Faust). La presenza del diavolo si diffonde nella piccola cittadina in maniera subdola, quasi fosse una paranoia personale dell’osservatore, principalmente con due dimostrazioni: la trasformazione letteraria della popolazione, spinta da una proletaria e innaturale vocazione alla composizione, e la diffusione della rabbia silvestre fra le volpi della foresta circostante. Maurensig si interroga sul fatto se il male sia o meno trasmissibile, sia quindi qualcosa di extra umano, come una malattia o un virus. Si chiede, parole sue, a che serva perseguire il bene quando questo poteva essere stravolto da un semplice contagio? con la bizzarra quanto sgraziata vena creativa del popolo il protagonista, padre Cornelius, riesce a “scrutare nel più fondo dell’animo dei suoi parrocchiani” alimentando sempre più una follia latente e visionaria che lo porterà ad assassinare (o credere di aver assassinato) un giovane amico e il diavolo stesso con un colpo di pistola. Critica (sterile?) al processo di industrializzazione e massificazione che stanno avendo le arti. Il paesino è una metafora di quanto sta realmente accadendo con la cultura popolare di internet e della sovra informazione “quanto più un’arte decade, tanto maggiore è il numero di persone che vi si dedicano”. Un tentativo di formazione per chi vuole cimentarsi nella scrittura. Un libro breve, preciso per volontà, ma a mio avviso debole e poco incisivo nella sua evoluzione.