Susan Abulhawa – Ogni mattina a Jenin

Passarono dei giorni, credo. La bambina a volte era inconsolabile. Io e Huda ci univamo a lei, singhiozzando di paura insieme alla piccola. ‘Aisha strillò finché non ebbe più voce. Sentimmo altre urla. Al di là della piastrella, bambini gemevano smarriti. Donne, inermi come i loro figli, piangevano e pregavano ad alta voce, come se cercassero di attirare l’attenzione di Dio in tutto quel caos. Sentimmo distruzione e vampate di fuoco. Sentimmo canti. L’odore di carne bruciata, spazzatura putrida e fogliame bruciacchiato, misto al puzzo dei nostri escrementi nella polvere. “Huda, credo che sia il Giorno del giudizio. È proprio come dice il Corano.”
“Oddio. Recitiamo lo Shahada e chiediamo perdono.”
“Ashhadu an la illah illa Allah.” Ripetemmo le parole che ci avrebbero portate in paradiso. Piangevamo. Con i volti anneriti e la pancia vuota, implorammo la misericordia di Dio.
“Ti prego perdonami, Signore, per aver schizzato di fango il vestito nuovo di Lamya. Perdonami per…” Le mie preghiere continuavano e si univano a quelle di Huda. 
“Ti prego, Signore,” pregava Huda, “perdona mio padre.”
Una forte esplosione fece saltare via la piastrella. All’improvviso ci fu luce e fummo ricoperte di polvere e macerie. Mi fischiavano le orecchie per lo scoppio. Gridavo e piangevo ma non riuscivo a sentire la mia voce. Eravamo rannicchiate sulla bambina e ci coprivamo la testa con le braccia. Sbirciai Huda e la vidi paralizzata nell’atto di gridare, un urlo muto di terrore assoluto. Aveva i capelli arruffati, bianchi di polvere e imbrattati di sangue, e il volto coperto di sporcizia. Da una tempia le gocciolava del sangue. Il mio cuore batteva così forte che potevo sentirlo. Tum-tum, tum-tum. L’esplosione mi chiuse le orecchie a ogni suono che non fosse il forte pulsare del mio cuore e il gorgoglio del terrore. Era un silenzio denso e logorante, come la calma al centro di un uragano o il suono attutito sott’acqua. Guardai in basso verso ‘Aisha. Stava dormendo. Il suo volto era calmo. Serafico. Le sue piccole, dolci labbra rosa erano leggermente aperte, come in un sorriso. Non capivo. Le mie lacrime le caddero sul volto, rigandole la sporcizia sulla guancia. Il suo addome era uno squarcio aperto che cullava un frammento di shrapnel. Il mondo intero si compresse nel mio battito cardiaco mentre prendevo in mano il pezzo di metallo insanguinato. Era così piccolo e leggero. Come aveva fatto a dilaniarla così? Come aveva potuto strappare una vita con tanta facilità? Mi alzai in piedi con la cuginetta morta e il frammento di metallo tra le mani. Se prima il pavimento mi arrivava a livello degli occhi, adesso la cucina non c’era più e potevo vedere il cielo dove prima c’era il tetto. Davanti a me c’erano cumuli di macerie, alcuni ancora fumanti. Un uomo, che riconobbi come un nostro vicino, Abu Samih, stava scavando convulsamente con le mani insanguinate tra un mucchio di detriti. Scomparve dentro un pennacchio di fumo, poi riemerse con un bambino piccolo tra le braccia e spezzò la mia trance con un urlo spaventoso di irrevocabilità condensata. Là, sulle macerie dove prima sorgeva la sua baracca di rifugiato e dove la sua famiglia era stata sepolta viva, l’uomo era in piedi sulla soglia di un abisso e piangeva, il volto deformato dall’agonia e la voce carica di disperazione. Stringendo il corpo afflosciato del figlio, piegò il collo verso il cielo e mandò un gemito da far rizzare i capelli, una resa gutturale al proprio destino.

DUE PAROLE

La prosa di chi ha vissuto sulla propria pelle, con i propri occhi, con la propria stirpe la nascita dello stato di Israele. Un racconto nel tempo, un diario inesorabile che narra allo scandire degli anni le difficoltà e le violente vicissitudini di una famiglia palestinese. Raccontato dalla brillante Amal, una giovane abitante di Jenin, città a nord della Cisgiordania settentrionale. Il seguirsi della sua generazione, la disgregazione e maledizione della sua famiglia. Storie epiche scorrono nelle vene della famiglia di Abulheja, dai fratelli separati e costretti poi a combattere per due fronti opposti, alla narrazione senza fronzoli della perdita di amici, famigliari e conoscenti. Turpe e truce verità gettata sulle pagine che colpisce ancor di più per il fatto di essere pronunciata da un simbolo di forza e purezza: una eroica donna bambina. La guerra e il conflitto si mescolano alle vicende di vita comune. Gli amori, le esperienze formative, lo svolgersi della vita diventa unico spartito di una toccante colonna sonora che non può prescindere dalla lotta.