DAL TESTO
Questo è il punto in cui sbagliamo. Noi presumiamo che sia nell’uomo soltanto quello che è sofferto, e che in noi è scontato. Aver fame. Questo diciamo che è nell’uomo. Aver freddo. E uscire dalla fame, lasciare indietro il freddo, respirare l’aria della terra, e averla, avere la terra, gli alberi, i fiumi, il grano, le città, vincere il lupo e guardare in faccia il mondo. Questo diciamo che è nell’uomo. Avere Iddio disperato dentro, in noi uno spettro, e un vestito appeso dietro la porta. Anche avere dentro Iddio felice. Essere uomo e donna. Essere madre e figli. Tutto questo lo sappiamo e possiamo dire che è in noi. Ogni cosa che è piangere la sappiamo: diciamo che è in noi. Lo stesso ogni cosa che è ridere: diciamo che è in noi. E ogni cosa che è il furore, dopo il capo chino e il piangere. Diciamo che è il gigante in noi. Ma l’uomo può anche fare senza che vi sia nulla in lui, né patito, né scontato, né fame, né freddo, e noi diciamo che non è l’uomo. Noi lo vediamo. È lo stesso del lupo. Egli attacca e offende. E noi diciamo: questo non è l’uomo. Egli fa con freddezza come fa il lupo. Ma toglie questo che sia l’uomo? Noi non pensiamo che agli offesi. O uomini! O uomo! Appena vi sia l’offesa, subito noi siamo con chi è offeso, e diciamo che è l’uomo. Sangue? Ecco l’uomo. Lacrime? Ecco l’uomo. E chi ha offeso che cos’è? Mai pensiamo che anche lui sia l’uomo. Che cosa può essere d’altro? Davvero il lupo? Diciamo oggi: è il fascismo. Anzi: il nazifascismo. Ma che cosa significa che sia il fascismo? Vorrei vederlo fuori dell’uomo, il fascismo. Che cosa sarebbe? Che cosa farebbe? Potrebbe fare quello che fa se non fosse nell’uomo di poterlo fare? Vorrei vedere Hitler e i tedeschi suoi se quello che fanno non fosse nell’uomo di poterlo fare. Vorrei vederli a cercar di farlo. Togliere loro l’umana possibilità di farlo e poi dire loro: Avanti fate. Che cosa farebbero?
Un corno, dice mia nonna.
Può darsi che Hitler scriverebbe lo stesso quello che ha scritto, e Rosenberg lui pure; o che scriverebbero cretinerie dieci volte peggio. Ma io vorrei vedere, se gli uomini non avessero la possibilità di fare quello che fa Clemm, prendere e spogliare un uomo, darlo in pasto ai cani, io vorrei vedere che cosa accadrebbe nel mondo con le cretinerie loro.
ORIGINI
Elio Vittorini – Uomini e No – 1945
Renato Guttutso – Crocifissione – 1941
DUE PAROLE
Questi due artisti si accomunano di ascendenti ben precisi: la Sicilia e l’estrema sinistra italiana. Entrambi, impegnati profondamente per la propria terra e il proprio partito, arrivano a comporre le loro due opere più famose nella cornice dei sanguinosi anni ’40. Ma è nell’estrema crudeltà dello spirito umano che l’unione di romanzo e dipinto formano il connubio. E se per una verso Guttuso riesce, con la sua personale “guernica”, a dare colore al teatro emblematico della sofferenza, così Vittorini, con la sua prosa asciuttissima ed onirica, ne riesce ad esaltarne la reale desolazione. “Uomini e no” è uno dei romanzi più significativi sulla lotta partigiana in Italia, forse anche dell’intera letteratura italiana. Le sue parole svuotano, ponendoci lo stesso interrogativo che molti altri pensatori e protagonisti della stessa guerra sono arrivati infine a domandarsi. Cos’è, veramente, un uomo? Il serrato ritmo dei brevi capitoli non lascia spazio a risposte, la voce narrante passa repentinamente a un livello super-partes al fine di richiamare una continua presa di coscienza. Lo sforzo immaginativo è chiamato costantemente all’attenzione. Non v’è spazio per protagonismi, le conseguenze sono date dalla crudeltà degli avvenimenti che, pur ruotando intorno a nomi impersonali, scaraventano il lettore in quell’incolmabile passaggio che separa la narrazione dalla cruda realtà.
p.s. Nota personale, Vittorini sposò la sorella di Quasimodo, Rosa.