Vladimir Nabokov – Mašen’ka


Era dell’umore che egli definiva “dispersione della volontà”. Sedeva immobile al tavolo non sapendo decidere che cosa fare: cambiare la posizione del corpo, alzarsi e lavarsi le mani, o aprire la finestra, dietro la quale la luce tetra del giorno andava dissolvendosi nel crepuscolo. Era una sensazione terribile, angosciosa, assai simile al senso di ansia che ci coglie quando, al risveglio, non riusciamo ad aprire subito le palpebre, come se fossero irrimediabilmente incollate. Gli pareva che la densa luce crepuscolare che poco a poco invadeva la stanza, s’infiltrasse lentamente anche nel suo corpo, trasformando il sangue in nebbia, e di non avere la capacità di infrangere l’incantesimo che la penombra operava su di lui. Era totalmente impotente perché non provava alcun desiderio ben definito, e questo era un vero tormento perché cercava invano qualcosa da desiderare.

DUE PAROLE

“Mašen’ka” sussurrò Ganin “Mašen’ka”. Fece un profondo respiro e trattenne il fiato, ascoltando il battito del cuore. L’ennesimo esule russo lontano dal suo paese, questa volta a Berlino, logorato dalla nostalgia di un amore (sia la patria o la donna) che lo tiene vivo. Tanto sofferente quanto sognante. La corda vitale delle emozioni del protagonista Ganin viene vibrata da un incontro inverosimile, quello del tenero amore conosciuto in gioventù che il fato ha portato poi all’uscio della stanza accanto. La moglie del vicino, l’infermierina Mašen’ka. Il romanzo si sviluppa quindi sulle verticali della memoria e dell’attesa, due grandi pilastri per qualsiasi essere umano dotato di profonde radici sentimentali. Egli rivive la gioia e la distanza (che come dicevo spesso sovrappongono la donna alla patria, e viceversa) intuendo quello che è potenzialmente il fulcro della felicità: un remoto ricordo d’amore che sa prolungare la sua immortalità nella speranza di potersi riproporre incessantemente. L’utopia dell’immortalità del desiderio è incastonata magistralmente da un giovane Nabokov alla prese con la sua prima prova letteraria.