La vittoria della scienza è stata così completa che la nostra stessa idea di religione è cambiata. Abbiamo cessato di associare la religione all’agricoltura e alla medicina. Anche molti dei più convinti credenti oggi soffrono di amnesia e preferiscono dimenticare che le religioni tradizionali un tempo si sono occupate di quei settori. “Che importa se ci rivolgiamo a ingegneri e dottori?” dicono. “Non vuol dire niente. Che cosa c’entra la religione con l’agricoltura o la medicina?” Le religioni tradizionali hanno perso terreno perché, in effetti, non erano molto efficaci in campo agricolo e sanitario. Le doti professionali di sacerdoti e guru non sono mai state in grado di far piovere, di guarire, di fare profezie o di praticare la magia. Si è sempre trattato di interpretazione. Un sacerdote non è qualcuno che sa come eseguire la danza della pioggia e mettere fine alla siccità. Un sacerdote è uno che sa giustificare il fatto che la danza della pioggia abbia fallito e che dobbiamo continuare a credere nel nostro dio anche se sembra sordo alle nostre preghiere. È infatti proprio la loro grande capacità di interpretazione a mettere i capi religiosi in difficoltà di fronte agli scienziati. Anche gli scienziati sanno come smussare gli angoli e forzare le prove, ma alla fine il tratto qualificante della scienza è la volontà di ammettere il fallimento per tentare una nuova via. Ecco perché gli scienziati riescono gradualmente a ottenere raccolti più abbondanti e a realizzare medicine più efficaci, mentre i sacerdoti e i guru imparano solo a inventare giustificazioni più convincenti. Nei secoli, anche i veri credenti hanno notato la differenza, ed è il motivo per cui l’autorità religiosa è andata diminuendo in tutti i settori della scienza. Ed è anche il motivo per cui il mondo intero è diventato un’unica civiltà. Quando una cosa funziona, tutti la adottano.
DUE PAROLE
Terza pubblicazione per Harari che dopo Sapiens e Homo Deus ci consegna ora una panoramica sui temi portanti di questo secolo e di come gli stessi potranno influenzare il nostro futuro collettivo. L’assolutezza, la determinazione dell’autore sono terreno fertile per i suoi detrattori e anche per chi si avvicina in maniera scettica al suo stile. Pur regalandoci spunti interessanti, pur mantenendo la sua dote principale (ovvero sia quella enorme capacità di distacco e di riduzione di questioni complicatissime ad una minima essenza) le pubblicazioni successive a Sapiens perdono di incisività. Complici, la necessità di ripetizione (che alla lunga sembra quasi un mantra dello sciamanico visionario) e l’ardire con cui Harari si lancia in visioni che prendono spesso l’alone di predizioni. Trattenendo il buono però, i testi di questo autore lasciano sempre un lascito. È impossibile non riflettere né essere colpiti da quello che la storia sembra destinata a portarci in dono. Leggo che Harari viene annoverato fra gli scrittori apocalittici. Io preferisco riconoscere in lui un indiscutibile valore divulgativo. Volenti o nolenti, sia pure di fronte ad assolutismi e interpretazioni faziose degli accadimenti, ogni libro di questo scrittore ci pone di fronte a delle domande chiare ed essenziali. Certo inquietanti. Ma lo reputo un esercizio indispensabile per la nostra intera specie. (Specie che, fra le altre cose, si ipotizza poter lentamente mutare su base tecnico economica, piuttosto che selettivo naturale).